voci dalla città

a cura di Ilaria Monti (Nomas Foundation)

Lo studio d’artista è un micromondo di dinamiche che accadono dietro le quinte e nel sistema dell’arte. Piccolo o grande, ordinato o caotico che sia, la porta di uno studio è sempre aperta a critici, curatori e collezionisti come attori chiave di un sistema che è fatto in primo luogo di relazioni. Tradizionalmente, al pubblico restano i musei, le gallerie e gli spazi espositivi in generale, dove la mostra è l’ultima tappa di un percorso che parte da lontano. Dietro i faretti puntati sull’opera e tra le righe di un testo critico, c’è tutta una vita che l’opera ha vissuto nello studio di un* artista.

Estendere la pratica dello studio visit al pubblico può consentire di accorciare la distanza tra l’arte contemporanea e la comunità e di riformulare l’immaginario collettivo su questi luoghi solitamente riservati.

Il progetto Go public – Voci dalla città si propone di portare in primo piano una dimensione basata sul dialogo, sulla partecipazione attiva e su una vicinanza reciproca inusuale nelle pratiche comuni di fruizione pubblica dell’arte contemporanea. Esperienza nuova sia per la comunità locale che per le/gli artist*, lo studio visit consente di superare la nozione di visitatore come semplice “spettatore”, creando una relazione diretta tra le/gli artist* e il pubblico.

Raccogliendo le testimonianze dei visitatori, il progetto si configura come uno spazio di raccolta di voci dalla città, che alla fine del 2021 costituiranno il punto di partenza di uno studio approfondito sul rapporto tra l’arte contemporanea e la comunità locale, con l’auspicio di illuminare, in chiave critica e autocritica, alcuni aspetti di natura sociale in un sistema culturale sempre più complesso.

Da qui, l’espressione “go public” (lett. “rendere pubblico”, ma anche “forza pubblico!”) rappresenta da una parte l’apertura di spazi privati al pubblico, dall’altra un incoraggiamento a partecipare, a mettersi in gioco e ad avvicinarsi al ricchissimo scenario romano dell’arte contemporanea.

Le testimonianze saranno raccolte, previo consenso di ciascun visitatore, attraverso diverse modalità e, come tenendo un diario di viaggio, saranno poi pubblicate in forma anonima sulla piattaforma online di roma città aperta.

15.05.2021

La prima volta che.

Sabato 15 maggio roma città aperta ha incontrato per la prima volta il pubblico presso San Lorenzo, negli spazi di Ombrelloni Art Space dove si trovano gli studi di Alessandro Calizza, Arianna De Nicola e Delfina Scarpa, e nello studio di Maurizio Savini presso Piazza Sant’Apollinare, nel cuore di Roma.
Per tutti gli artisti, quelli di sabato sono stati i primi studio visit non direttamente destinati a critici o curatori o in generale a ragioni di lavoro.
roma città aperta introduce, in realtà, tante prime volte per gli artisti, per il pubblico, per la città: è la prima volta che viene tracciata una mappatura della ricerca artistica a Roma, ed è la prima volta che il pubblico ha la possibilità di prenotare una visita presso uno studio come si prenota oggi l’ingresso a una mostra o al cinema.
Chi verrà a visitare gli studi degli artisti? Gli “addetti ai lavori” nel campo dell’arte, gli appassionati, gli studenti, i cittadini che abitano o lavorano in zona?

Il pubblico di sabato era composto da giovani e adulti, studenti di arte e aspiranti curatori, docenti, appassionati d’arte, e curiosi. Salvo pochissime eccezioni, molti non erano mai stati nello studio di un/una artista fino ad ora. Un primo dato riscontrato chiacchierando con chi non lavora nel settore: non avrebbero mai contattato un/una artista per chiedergli di visitare lo studio, come sentendosi fuori luogo o intimiditi. C’è un alone quasi di mistero, un fascino per questi spazi così densi, e ancora tanti luoghi comuni da raccogliere sulla figura e il ruolo degli artisti.
Cercando di restituire una sintesi e per conservare e disseminare le tracce di questa prima esperienza, potrei dire che ho visto gli artisti fare pratica con il public speaking, avendo loro stess* considerato quest’occasione come esercizio utile al proprio lavoro, per essere meglio in grado restituirlo con un linguaggio più diretto e a un pubblico che spesso non conosce affatto la ricerca artistica; potrei dire che a un certo punto c’è stato un interessante “passaggio di testimone”, con Alessandro Calizza che ha invitato una visitatrice a raccontare le opere al suo posto agli altri arrivati dopo di lei – emerge già la dimensione dell’apprendimento, dell’ascolto reciproco, del passaparola a volte così efficace per avvicinare il prossimo ad un’esperienza nuova, e in primis all’esperienza dell’arte. E riporto infine una prima metafora, un primo pezzo di voce dalle conversazioni con il pubblico di sabato:

lo studio di un artista somiglia alla cucina di un cuoco, nel retro di un ristorante, e alcune cucine sono ordinatissime, altre sono quasi sempre a soqquadro, caotiche. E se guardi la cucina di un cuoco, riesci a capire meglio come lavora, come ha preparato quel piatto per te.

Lo stesso accade quando nello studio delle artiste e degli artisti quando lo sguardo si posa sugli strumenti del mestiere. Penso all’Invenzione del quotidiano (1980) di Michel De Certeau, che poneva il linguaggio e l’atto del parlare alla base di ogni pratica quotidiana, dalla conoscenza alla costruzione dello spazio alla relazione con l’altro. Perché non valorizzare, allora, la logica discorsiva anche nell’incontro con gli artisti in questa forma così aperta di fruizione dell’arte, da cui possono nascere inedite e rinnovate narrazioni di luoghi così intimi e densi quali sono gli studi, microcosmi sconosciuti e diffusi nello spazio urbano. Mi faccio raccontare com’è andata la visita, impressioni e percezioni, e lo studio ne esce trasformato in un luogo familiare come una cucina. La relazione e l’esperienza diretta negli studi degli artisti può generare metafore, processi di appropriazione, nuovi sguardi e significati. Non resta che vedere quali.

02.06.2021

Il 2 giugno 2021, ; roma città aperta insieme agli artisti Josè Angelino, Alessandro Dandini de Sylva Marco Emmanuele, Luca Grechi, e Diego Miguel Mirabella, hanno accolto il pubblico negli spazi dell’Ex-Lanificio a Pietralata. Lo spazio, un edificio che negli anni ’30 era sede del Lanificio Luciani, a seguito di una serie di interventi di riqualificazione e riconversione, è stato poi trasformato in un centro polifunzionale di aggregazione e produzione di idee e creatività. Oggi ospita anche gli studi dei cinque artisti, raccolti sotto il nome di ; Paese Fortuna, omaggio all’artista Pietro Fortuna che nel 1996 fondava qui ; Opera Paese, un progetto-comunità incentrato sulla condivisione culturale spaziando dalle arti visive e performative, alla musica, alla filosofia, e che fino al 2004 ha portato nella Roma di quegli anni artisti e pensatori quali Philip Glass, Jannis Kounellis, Carlo Sini. Il Lanificio è in qualche modo un’archeologia della cultura romana contemporanea, un luogo dove la ricerca artistica attuale incontra storie e narrazioni laterali, spesso poco conosciute, e con cui gli artisti di oggi si confrontano, come passando il testimone.

Dalle parole degli intervistati, di cui molti hanno fatto esperienza di uno studio visit per la prima volta, emerge la forte suggestione del luogo, del suo carattere industriale che si inserisce allo stesso tempo nel tessuto urbano e naturale della città. Gli studi affacciano direttamente sul fiume Aniene e sul verde, con grandi finestre simili a schermi che proiettano il paesaggio e che sembrano accorciare la distanza tra esterno e interno. Affiora subito all’occhio dei visitatori l’eterogeneità della ricerca e dei linguaggi portati avanti dagli artisti: c’è la fotografia di Alessandro Dandini, la pittura di Luca Grechi e la “pittura di vetro” di Marco Emmanuele, ci sono i mosaici poetici dell’ultimo progetto di Mirabella e infine le sottili sperimentazioni sonore di José Angelino. Per alcuni visitatori, soprattutto quelli che si sono definiti “curiosi, ma a digiuno di arte”, passare da una stanza all’altra e lì incontrare gli artisti pronti a raccontarsi ha rappresentato ; una corsia preferenziale, una chiave di accesso che ha favorito la comprensione dell’opera. Ancora, c’è chi invece si è soffermato sulla conoscenza personale degli artisti, riportandone ora l’ironia, ora la sensibilità emerse nei momenti di conversazione. Tra il pubblico, c’è stato anche chi ha scelto di far visita ad alcuni studi in particolare perché già conosceva il lavoro dell’artista, o perché ne aveva visto recentemente una mostra. Sono coloro che hanno apprezzato i dettagli, la possibilità di vedere una produzione artistica nel tempo e nel luogo del processo, e soprattutto il retroscena di quello che in mostra non è possibile vedere.

Nel caso dell’Ex-Lanificio, l’esperienza artistica si intreccia con la natura di un luogo già fortemente caratterizzato, che ha destato nei visitatori forte interesse e stupore. In questa occasione, lo studio visit ha superato i confini di un’esperienza alternativa per conoscere le ricerche dei singoli artisti, inserendosi nel racconto di una memoria romana e internazionale al tempo stesso, urbana, ambientale e culturale, che i cittadini – non solo quelli residenti nel quartiere – hanno potuto conoscere o riconoscere.